Deriva culturale

Riporto poche righe dall'articolo comparso oggi sul Giornale e firmato da Tommy Cappellini, in merito a un'intervista fatta al critico d'arte Jean Clair:

Un giorno chiesero ad Alberto Giacometti dove avrebbe voluto che andassero le sue sculture, una volta terminate. In un museo? In una galleria? In una collezione privata? «No - rispose -, seppellitele nella terra. Così faranno da ponte tra i vivi e i morti».
È una risposta religiosa. Chi è stato sui luoghi natali dello scultore - con quelle cupe foreste che ricoprono le montagne da Stampa fino al Maloja e poi all’Engadina - sa, ma soprattutto sente, che le parole di Giacometti appartengono ancora a una visione austera, metafisica, quasi sacrale del mondo e della vita. Un artista d’oggi non potrebbe più proferirle, poiché impegnato a gridare «Sono qui! Guardatemi!» e a gestire la propria immagine attraverso piccoli o grandi scandali.

Quando mi capita di rispondere alla domanda, fin troppo scontata, sul perchè un ragazzo di 23 anni si sia messo a scrivere su un mondo, quello della musica di 40 anni fa, ormai vecchio e ammuffito (per alcuni, si intende), dico sempre che quella musica ha ancora un sapore magico di libertà, di genuinità di sentimenti, tra la spensieratezza di una gioventù tutt'altro che maliziosa e una bontà dal che di selvaggio...Da oggi aggiungerò anche quanto letto in questo articolo. E non mi riferisco solo al mondo degli artisti affermati, ma a tutte le quotidiane espressioni di qualsivoglia personalità artistica: non è che al contenuto (di un quadro, di un album, di un libro...) non si dia più importanza, ma semplicemente lo si dimentica, come una moka di caffè strabordante sul fornello, mentre davanti a una telecamera si è occupati a sbraitare "Sono qui! Guardatemi!".

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