O amore muto!

Insomma, ci tengo ad invitarvi...



“E’ soltanto nel silenzio che l’amore prende coscienza…”
(Louis Lavelle)


Qual è la più bella poesia mai scritta in lingua italiana? E perché parla di un “amore muto”? Quante volte poeti e scrittori, parlandoci d’amore, ci hanno parlato anche di silenzio? Un silenzio che a volte significa segreto, altre contemplazione, altre ancora incapacità e timore, complicità e realizzazione.
Le letture di Antonio Oleari – accompagnate dalle sonorizzazioni del musicista calabrese Gianfranco De Franco – entrano in punta di piedi nel silenzio come vero e unico luogo dell’amore. Da Jacopone a Giorgio Gaber.

“O Amore Muto!” 
brevi letture di amore e di silenzio da Jacopone a Giorgio Gaber

Domenica 19 maggio, ore 18.30,
R.evolution c/o La Taste, Via Umberto 59, Seregno

Di e con Antonio Oleari e le musiche di Gianfranco De Franco

Maturità

All'intervallo esco per fumare una sigaretta. Finalmente le nuvole si sono aperte, c'è il sole. Incontro i più grandi, quelli di quarta. Di nome conosco solo Diego, che si avvicina, fumando anche lui, mi saluta:  "Prof. Oleari...", pausa, "buongiorno...". I suoi compagni lo seguono, parliamo. Forse un po' gli piace parlare con me. "Fra un mese è finita", dico. "Non proprio", mi risponde una di loro. "Ah già", dico, "la maturità..." Con il vecchio ordinamento, all'Artistico, si finisce in quarta.
Loro non lo sanno, ma io mi sento più uno di loro che un professore. Forse perché lo faccio da troppo poco tempo, forse perché fra un mese avrò già smesso di farlo. Era bello parlare con i professori, quelli buoni dico. E chissà quante volte prima della maturità ho detto le stesse cose che stanno dicendo loro a me: "io la tesina non l'ho manco iniziata!" - "e lei prof. su cosa l'ha fatta?" - "speriamo di finire presto" - "speriamo che i membri esterni siano buoni" - "speriamo che..."
Che figata. Che figata, dico, avere quella paura lì. Quella della maturità, del tema, dell'orale, dei prof... Che figata perché non è paura vera. E' la sensazione di esserci, di dover provare a fare cose nuove, di non avere voglia (che poi è la voglia di fare magari altro, ma è pur sempre voglia). Mentre li ascolto non rimpiango mica i miei 18 anni. Ma rimpiango quella cosa lì, quella paura non vera. Perché glielo leggo negli occhi che loro sono già oltre: qualcuno finalmente andrà a lavorare, qualcuno cazzeggerà per un po', qualcuno ha già comprato un biglietto sola andata per l'Australia. 
Io della mia maturità ricordo un po' di cose. Un Europeo finito male con Cassano in lacrime dopo due gol inutili alla Bulgaria, una caviglia rotta e avanti-indietro dalla scuola con le stampelle, un concerto con il gruppo (sempre con la caviglia rotta), la ragazza di cui ero innamorato, il biglietto già pronto per la Grecia e la versione di greco che era una stronzata ma io sono riuscito a sbagliarla quasi tutta. E poi il tema... Avevo scritto un sacco, come al solito, due fogli protocollo. Ma non mi ricordo su cosa. Montale di sicuro, ma che poesia? 
Potere dei motori di ricerca. Eccola. Splendida. La dedico a Diego, ai suoi compagni, ai loro occhi strapieni.

Eugenio Montale - Casa sul mare

ll viaggio finisce qui:
nelle cure meschine che dividono
l'anima che non sa più dare un grido.
Ora I minuti sono eguali e fissi
come I giri di ruota della pompa.
Un giro: un salir d'acqua che rimbomba.
Un altro, altr'acqua, a tratti un cigolio.

Il viaggio finisce a questa spiaggia
che tentano gli assidui e lenti flussi.
Nulla disvela se non pigri fumi
la marina che tramano di conche
I soffi leni: ed è raro che appaia
nella bonaccia muta
tra l'isole dell'aria migrabonde
la Corsica dorsuta o la Capraia.

Tu chiedi se così tutto vanisce
in questa poca nebbia di memorie;
se nell'ora che torpe o nel sospiro
del frangente si compie ogni destino.
Vorrei dirti che no, che ti s'appressa
l'ora che passerai di là dal tempo;
forse solo chi vuole s'infinita,
e questo tu potrai, chissà, non io.
Penso che per i più non sia salvezza,
ma taluno sovverta ogni disegno,
passi il varco, qual volle si ritrovi.
Vorrei prima di cedere segnarti
codesta via di fuga
labile come nei sommossi campi
del mare spuma o ruga.
Ti dono anche l'avara mia speranza.
A' nuovi giorni, stanco, non so crescerla:
l'offro in pegno al tuo fato, che ti scampi.


Il cammino finisce a queste prode
che rode la marea col moto alterno.
Il tuo cuore vicino che non m'ode
salpa già forse per l'eterno.