I Galilei - Puntata n.2

Inafferrabile

“… capite???”
L’uomo che parlava senza virgole concludeva così la sua requisitoria davanti a una frotta di gabbiani dal becco mandarino. Loro, impegnati com’erano a piluccare un tozzo di pane vicino alla bitta n. 66, non avevano dato molto retta ai quei discorsi sul furto di vecchi vinili.
Così lui, per la strada, cercò di concentrarsi sulle sue mani. Le dita dell’uomo senza virgole infatti, se lasciate andare tremavano sempre, e tenerle a bada costava ogni volta sudore. Era febbraio, era giovedì, era mezzogiorno, aveva appena finito di alzare certi giganteschi container con la sua gru a cavaliere e si preparava a scegliere con cura. Avrebbe evitato da subito rock e disco music, troppo centrali, si sarebbe portato verso i più laterali jazz e folklore; poi, nell’attesa che i clienti intorno si facessero almeno in quattro o cinque, avrebbe iniziato ad abbassare la lampo della tuta preparando la pescata.
Alzò lo sguardo. In quella striscia di cielo sopra il vicolo, il sole dormiva dietro un foglio di grigie nubi, come in un lutto.
Abbassò lo sguardo. Nel vicolo c’erano mani e si muovevano, accendevano sigarette, impastavano paste di pane, accarezzavano gatti, reggevano bicchieri, indicavano altre mani, ovunque. L’uomo senza virgole guardò le sue: larghe e tozze con i pollici smodati e quasi deformi, un taglio profondo sulla nocca dell’indice e uno su quella del medio, tracce di grasso che rendevano nera ogni linea del palmo.
Ed ecco là una mano alzata, ricoperta da troppa bigiotteria, il Gracco che ordinava da bere con un cenno teatrale al ragazzo del bar. Il Gracco era il venditore ambulante di dischi, un mastino che controllava il territorio con i movimenti lenti di un condor andino, senza vedere nulla (era cieco dalla nascita) ma captando tutto, odorando il ladruncolo già all’imbocco del vicolo, avvertendo le vibrazioni dello scippatore con un istante di anticipo sulla sua fuga. In tanti anni l’uomo senza virgole era stato l’unico in grado di eludere un tale sistema di sicurezza.
Ora allontanò con un brivido il pensiero, nuovo di zecca, che qualcosa sarebbe potuto andare storto. Quando, con i movimenti di un gatto, appoggiò la mano destra sulla pila orizzontale di dischi, il nemico lo incrociò con i suoi occhiali da sole scuri. Un refolo d’aria mosse una lattina e le campane suonarono. Subito, come nei piani, cercò la B di “be bop” e le si mise di fronte. Dalla “classica”, un habitué sulla cinquantina fanatico di Händel lo incoraggiò con un “Vai e vinci per tutti noi”, detto con gli occhi.
La situazione: appena due clienti, di cui uno impegnato a discutere col nemico sull’anno di stampa di un classico blues. L’uomo senza virgole pensò che tutto sommato aveva portato a casa in condizioni ben peggiori.

Galileo, il cane, non si era dimenticato dell’appuntamento e aveva corso più forte che poteva. Erano mesi che non superava la strada trafficata e si spingeva verso il centro. Quando arrivò sulla via vide la scena da lontano, all’altezza del gioielliere: il Gracco aveva appena tirato una scudisciata sulle mani dell’uomo senza virgole e un istante dopo aveva lanciato il suo grido d’allarme. Due delle sue guardie si erano alzate dai tavolini del bar, altre due erano sbucate dalle verze e dai carciofi del fruttivendolo, e in pochi istanti ogni via di fuga era bloccata.
Si diede una spinta decisa sulle zampe posteriori e in un balzo addentò il bordo di un cartone di vecchi 45 giri. La baraonda aumentò. Il Gracco cacciò un altro urlo agitando nel vuoto lo scudiscio. Gli sgherri si lanciarono contro il nuovo bersaglio, e l’uomo senza virgole se la diede a gambe. Poi finì tutto molto in fretta: il cane mollò l’osso e gli uomini si quietarono, limitandosi a qualche insulto in senso lato contro ogni essere vivente dotato di quattro zampe. Galileo si dileguò al trotto per un vicolo che puntava al mare, mentre il Gracco cominciò a dare disposizioni su come riassettare il suo bazar con il respiro affannato di un Papa appena scampato a una congiura. La situazione tornò quasi calma.

Quando si svegliò, l’uomo senza virgole era sdraiato sul divano e aveva i piedi intirizziti. Tornò su quanto era accaduto. La corsa, la folla, il rientro a casa, il sonno spesso in cui era inciampato già sulla porta d’ingresso. Si mise seduto. Fuori dalla finestra vide gocce d’acqua che cadevano dall’alto. La casa era fredda. E l’uomo provò l’imbarazzo di una solitudine impotente e destinata. Pensò al cane Galileo, e si chiese dov’era, se erano vivi lui e quei dischi foschi e corvini come gli occhi del Gracco. Non avrebbe più rubato, decise. Però gli rimaneva un’ultima caramella da scartare, il disco che nella confusione gli si era appiccicato sotto la salopette e che lui aveva stretto per tutto il tempo della fuga per paura che cadesse o scomparisse.
Solo dentro quattro mura maculate di umidità, mentre le prime note dell’ultima refurtiva si aggrappavano come mollette allo stendino del pentagramma, l’uomo senza virgole (che nella nostra storia, per ora, è anche senza un nome) pensò al suo bisogno patologico di musica sempre nuova.
“Questo non è be bop…” concluse subito.

Infatti. Charles Mingus suonava con la sua orchestra e senza dire una parola in nove minuti si dimostrò convincente sul fatto che no, il suo non era semplice be bop. Era l’inafferrabile.

0 commenti: