I Galilei - Puntata n.10

Un bivio.

Della morte e del suo suono il signor Galileo non aveva alcuna esperienza. Forse anche per questo la cosa precipitò mentre lui dormiva con le braccia conserte nell'ultima fila di sedili, la tempia sinistra incollata al vetro del finestrino.
Si destò alle prime parole concitate di chi stava viaggiando con lui lungo la campagna, sopra una statale poco battuta, umida di pioggia fitta come nebbia.

Quando la marcia si arrestò uno di loro aprì lo sportello laterale del camioncino. In due, come potevano, sollevarono l'animale e lo posarono sulle prime zolle fradicie di un campo deserto: delle piante di granoturco erano rimasti migliaia di fusti incisi nello stesso e basso punto, in file uguali, a perdita d'occhio.
Aveva smesso di reggersi sulle zampe da qualche giorno, il cane Galileo, e nelle ultime ore il suo sguardo si era nascosto dietro a due sottili fessure prive di umore. Adesso il suo respiro chiedeva aria, lo faceva con colpi di tosse quasi umani, e quando finalmente la trovò il suo naso e la sua bocca sentirono bruciare.
Esistono storie che s’interrompono nello stesso modo in cui si interrompe l'ispirazione di uno scrittore, oppure di un cantante. Sono storie che si arrestano nell'esatto momento in cui dovrebbero, anche se apparentemente danno l'idea di cadere bruscamente e senza alcun senso.
La storia del cane Galileo si interruppe lì, a bordo di una strada asfaltata. Il senso di tutto quel che accadeva si propagò nell'aria e si stese sul suo muso, finalmente rilassato e disteso. Il perché delle cose stava in quello che aveva compiuto negli ultimi mesi. Azioni spese non per sé, ma per un altro, il suo padrone, colui che anni prima, dopo averlo trovato nell'androne del suo palazzo, aveva scelto di chiamarlo col suo stesso nome, o quasi: "Non pensare che ti voglia chiamare come me” aveva affermato con voce ferma il signor Galileo quella volta, “figuriamoci! Io mi chiamo come mio nonno, uno che si era giocato tutto a carte e che si trovò vecchio e solo senza una lira, tu invece ti chiamerai come quello che della luna ha fatto la sua migliore amica.".
Il perché, dunque… Aver svolto il proprio compito fino alla fine e fino a quando ce n'era stato bisogno. Essere stato l’occhio fedele di chi ne cercava di nuovi per sé. E una volta che li aveva trovati, farsi da parte.
In quei giorni di primo inverno lui e il suo padrone stavano finalmente viaggiando. Viaggiavano con una banda di suonatori fra cui c'era Ermes. Passavano di teatro in teatro facendo della musica un suono e, nel caso del signor Galileo, delle immagini per orecchio. L'idea era stata proprio di Ermes: far diventare tangibile la teoria del professore. "Ma come?" aveva chiesto il signor Galileo quella volta in cui se ne stava parlando sul serio. "Raccontando" aveva risposto Ermes. "Non scherziamo, un professore di scienze in pensione che si mette a fare il poeta!"  aveva obiettato lui.
Proprio così andò. E se non era un poeta, poco ci mancava. Il signor Galileo sapeva alzarsi fino alla luna con le parole, quando qualcuno suonava attorno a lui. Portava vicina ogni cosa lontana.
Ora però i Galilei si separavano.
Il professore fu aiutato a muoversi e si mise seduto al bordo del camioncino. Gli allungarono il braccio nel vuoto finché la sua mano non trovò il pelo del cane.
Ecco, la morte un suono ce l'aveva. Era il mormorio di un tradimento, come mettere insieme una terzina di note: DA TE NO.
Ma chi vive non può capire tutto, solo alcune cose. Allora come un'eco sorse una risposta. Le nuvole, all'orizzonte, si sfilacciavano sopra altri campi e altri boschi. L'alba si componeva un tono di rosa dopo l’altro. Il signor Galileo la vide. Era come un respiro dopo un'apnea.        
Esistono storie che devono proseguire per forza come forzatamente scrive uno scrittore, oppure canta un cantante. Sono storie che vanno troppo oltre, ma vanno dove devono, a costo di apparire affannate.

Il camioncino dunque ripartì dopo che una buca fu scavata. A giorno fatto arrivò in una nuova città. Si fece colazione tutti insieme, e il sole lassù sembrava una luna travestita da maschio.

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