Su tre lati argentini #1 (Lisbona)

Lisbona. L’imprevisto.

Hai salutato l’Europa affacciandoti alla sua ultima finestra, quella in fondo al corridoio, lì da dove anche l’occhio più acuto non può scorgere altro che un infinito e sconosciuto mare.
I viaggi vivono d’imprevisti. E il viaggiatore li accoglie come una benedizione, il segno inequivocabile che la sua rotta ha una guida. E’ ad essa che egli accetta di sottostare: non padrone del viaggio, ma del viaggio garzone. Ogni volta, più di prima, apprendista.
E così una coincidenza saltata ti riporta a Lisbona per la terza volta. Nelle altre due occasioni viaggiavi con i tuoi genitori, stavi nel dolce fiume della tranquillità, accettavi il dono della curiosità, cedevi senza fretta alla bellezza di Lontano, divinità sfuggente e senza volto. Nei tuoi ricordi sbiaditi c’è solo il Tago, fiume largo, ultimo corridoio, comandante di un'armata di nostalgie che dalle colline scendono fino al mare. Ma tutto è ancora lì: il Barrio Alto, i festoni ai davanzali, i locali rumorosi, le auto che si stringono nelle vie facendosi spazio dove non ce n’è. Ogni cosa - che ci piaccia o no - vive al di là delle nostre dimenticanze.
E’ notte, il pensiero è per strada, illuminato dai lampioni, rotto dall’insistenza degli spacciatori che all’italiano offrono sempre la bamba migliore. Cammini e ti fischiano le orecchie, scendi con piccole mosse centinaia di gradini, in basso a una scalinata un papà fa dormire il suo bambino: “Dormi, sei in viaggio anche quando non ti muovi” gli dice tenendoselo stretto, e tutto resta come nei versi di Pessoa il poeta, seduto a un tavolino del caffè “A Brasileira”, immobile e con le gambe accavallate: 

Lontano da me in me esisto
fuori da chi io sono,
l'ombra e il movimento in cui consisto.
(F. Pessoa, Longe de mim, 1920)


Hai due compagni. Con loro attraversi Rua dos Correiros, Rua Augusta, Plaça do Comércio. E intanto parlate di figli da crescere, dell’egoismo di non mettere al mondo nessuno. Quante volte, in sere così fresche, davanti a un bicchiere, avete parlato con in testa il futuro. Futuro che a parlarne non si compie mai, la parola lo frena e voi vi sentite come la principessa Sherazade, credete che il racconto possa salvarvi dalla vita.
Infine vedete il mare, ve lo indica Re Giuseppe I a cavallo, e restate in silenzio. Il mare che qui si chiama Oceano Atlantico, è il vostro nuovo orizzonte. Il padre di tutti. L’imprevisto più bello.


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