Marocco (s)coperto ~ scrivere senza orario

Dando un'occhiata alle fotografie scattate in Marocco, nel marzo/aprile del 2016, mi sono accorto di una cosa: in molti scatti il volto del soggetto era coperto. In alcune situazioni io stesso avevo scelto di fotografare persone di spalle, in altre il caso ha voluto che (per le condizioni di luce o per altri elementi di disturbo) il soggetto restasse in parte celato. Ho subito interpretato questa dinamica come una bella metafora del Marocco, un paese che sotto certi aspetti si nasconde ancora moltissimo e cerca di occultare le sue tante contraddizioni. Penso al divieto di ingresso alle moschee per i non fedeli ma anche al modo di vestire della gente: le donne velate interamente o in parte, gli uomini con la djellaba (la tunica tradizionale) o il burnus (il mantello con cappuccio). Senza contare la diffidenza nei confronti di chiunque abbia in mano una macchina fotografica: è difficile sentirsi liberi di scattare liberamente. Il Marocchino non vuole mostrarsi. Oppure lo fa, ma per denaro.

Allo stesso tempo però mi sono accorto che in molti altri scatti, anche di situazioni simili, il volto dei soggetti compariva e mi rivelava espressioni, sguardi, pose cariche di significato. In molti di questi casi le coincidenze si sono rivelate fortunate, per altri invece c'è stata piena disponibilità dei soggetti. Sentivo che quello che avevo "perso" in alcuni scatti lo "riguadagnavo" in altri. E' questo equilibrio che può forse rappresentare la vera metafora del Marocco, un paese in cui non trovi mai quello che cerchi, ma trovi molto altro che non stavi cercando. Il mio viaggio, per lo meno, è stato così.

Perciò ho selezionato 20 fotografie: 10 sono di un Marocco a volto coperto, 10 a volto scoperto. E in alcune il confine è sottile.