Il turno di notte

L'attentato di Parigi esplode delle solite catene, dei video, delle prese di posizione, dei dibattiti. Genera slogan, ripropone vecchie teorie di complotti, dimentica i fatti per creare antefatti e ipotizzare scenari futuri. Retweetta, condividi, metti un like. Difendi la libertà d'opinione con un click. E intanto bada bene a fartene una, di opinione. Posta, copia e incolla. Guarda e riguarda nei dettagli. 
Così il mondo si ingolfa. Con tutto questo rumore il suo cuore rischia l'arresto.
Scriveva Izet Sarajlic, poeta bosniaco nato a Doboj: "Chi ha fatto il turno di notte per impedire l'arresto del cuore del mondo? Noi, i poeti".
Le sue parole mi ricordano che è proprio vero. Perché nel mare di cose che ho letto in queste poche ore, sento venire a galla e confortarmi il pensiero dello scrittore libanese Dyab Abou Jahjah, che con un tweet ha spezzato la catena di "Io sono Charlie", l'hashtag (o se volete, lo slogan) nato a sostegno delle vittime del settimanale Charlie Hebdo. Scrive:
"Io non sono Charlie. Io sono Ahmed, il poliziotto morto. Charlie Hebdo metteva in ridicolo la mia fede e la mia cultura e io sono morto per difendere il suo diritto di farlo". 
Le catene, anche le più nobili, legano sempre. Ci costringono i pensieri. Limitano le prospettive. E forse non fanno in tempo a costruire la pace.
Il poeta invece offre uno sguardo nuovo e diverso sulle cose. Impedisce che il cuore del mondo smetta di battere.

Facciamo il turno di notte, un po' per volta. Facciamolo al lume della consapevolezza che ogni storia ha tante storie e che i protagonisti, i buoni, i cattivi, non li possiamo scegliere noi.
Dopodiché facciamoci un'idea. Ma se non abbiamo parole nuove, coltiviamo la tolleranza nel silenzio.


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